GUIDO SEBORGA
OCCHIO FOLLE, OCCHIO LUCIDO
Diario
Spoon River, 2012
E’ uscita la nuova edizione di “Occhio folle occhio lucido”. Il diario di Guido Seborga pubblicato per la prima volta nel 1968. Un testo fondamentale per riscoprire uno dei protagonisti della cultura italiana del dopoguerra. Ne presentiamo l'introduzione di Massimo Novelli, autore della biografia di Seborga (L'uomo di Bordighera. Indagine su Guido Seborga, Spoon River, Torino 2003).
Massimo Novelli
Non sottomessi ma liberi
Molti anni prima di Stéphane Hessel e del suo Indignatevi!, Guido Hess Seborga (Torino, 1909-1990)esortava con ben altro spessore letterario a "non essere mai complici di una qualsiasi schiavitù, ma ribellarsi nel presente senza evadere in programmi avveniristici o consolarci con storie mistiche". E aggiungeva: "Vivere nel dramma perchè ne facciamo intimamente parte, rifiutare i nuovi tiranni di metallo e cemento, avere in noi la propria ragione fondamentale di vita e da qui nasce la realtà, da noi stessi non sottomessi ma liberi". Lui era un uomo libero: lo fu da romanziere, da poeta, da giornalista, da organizzatore cultuale, da pittore, da partigiano e da socialista.
A maggior ragione declinò il suo essere libero, e libertario, in Occhio folle occhio lucido, che compose come autobiografia, diario, bilancio della pro- pria esistenza, pamphlet e soprattutto come grido di rivolta. Era un bisogno di ribellione, del resto, che veniva da lontano, dai tempi dei primi suoi romanzi e dei drammi, da L'uomo di Camporosso a il figlio di Caino, da Spartaco, vuoi essere libero? a Morte d'Europa, quando il nemico dell'uomo erano il nazismo, che Guido aveva visto affermarsi a Berlino, e il fascismo, la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale. E il grido di rivolta, l'antico grido di Spartaco, in quegli anni Sessanta, in un mondo diviso fra Urss e Usa, fra la guerra del Vietnam e la Cina delle guardie rosse, il risveglio operaio, le tragedie dell' Africa, la morte di Che Guevara, il Maggio Francese, i carri armati sovietici a Praga, risaliva d'intensità, consapevole delle lacerazioni eppure non morto nella speranza di un cambiamento dell'uomo per l'uomo.
Fu pubblicato dalla casa editrice milanese Ceschina, ora scomparsa, nel 1968, mentre gli studenti e i lavoratori di mezzo mondo provavano a mandareall' aria l'ordine costituito. il libro, che segna inoltre il passaggio di Seborga dalla letteratura all' arte, innestandosi nella sua ricerca, alla soglia dei sessant'anni, di un "corpo nuovo" tanto mentale che fisico, uscì grazie a Pier Angelo Soldini. Piemontese di Castelnuovo Scrivia, era il nume tutelare della Ceschina oltre ché scrittore, critico di valore e corrispondente di guerra, troppo presto scomparso, poco più che sessantenne, nel 1974. Soldini credeva in Guido; nei suoi diari, da poco ripubblicati con merito da Interlinea, in particolare ne il giardino di Montaigne, lo ricorda spesso e si trova a essere d'accordo con Seborga. Come quando, sotto la data del 20 luglio 1965, annota: "Ho trovato una conferma, o meglio un' amplificazione, a quanto scrivevo nella nota del 22 marzo scorso da Castelnuovo, in una pagina molto bella di Guido Seborga dedicata ("Lavoro" di Genova, oggi) alla madre morta: "C .. ) già da tempo quando ero in mare (con una forza fisica minore di quando ero giovane) mi accadeva contemplando la natura di farmi assorbire dalla materia; una volta no, il nuotare solo in alto mare era per me un gioco fisico di forza (sia pure con la paura dei pescecani), un rischio eccitante voluto dal mio sangue; la vita fisica fu per anni la mia vita e lo poteva essere per secoli, se l'uomo non fosse così terribilmente vulnerabile, l'uomo che dura tanto poco, un attimo solo"".
Sono i temi che innervano il libro che Seborga fa cominciare dalla morte della madre, strutturandolo poi in un alternarsi di passato, di presente e di futuro, di crisi e di rinascita, di eros e di morte, di valori e di disvalori. Si mescolano e trovano coerenza e unità episodi dell' infanzia e dell' adolescenza, gli anni di Berlino e di Parigi, il mare della Riviera di Ponente e di Bordighera, il volto della moglie Alba e Leone Ginzburg intravisto in una strada di Torino, la Resistenza contro i nazifascisti, la sconfitta del Fronte popolare, il Miracolo Economico, le divisioni nel Psi; e s'incrociano gli amori e le passioni, il realismo e il surrealismo, Artaud e Corrado Alvaro, il conscio e l'inconscio, la letteratura, il pennello di Spazzapan e quello di Morlotti, il desiderio di dipingere che stava crescendo in lui con prepotenza; non dimenticando il pensiero di Piero Gobetti e le idee di Marcuse, la morte al fronte di Paul Nizan e il suicidio di Cesare Pavese, la natura e la macchina. Un pieno di vita, ideale, culturale, politica, sessuale, che veniva riassunto nella convinzione di dover "possedere la verità in un'anima e in un corpo".
Seborga tracciava nel con tempo il bilancio di una generazione che, vinti gli invasori e il fascismo, nelle nuove compromissioni e nella guerra fredda non aveva saputo costruire una democrazia vera, effettiva: "Un basso statalismo, un neocorporativismo rischiavano di distruggere il paese. E ci furono le speculazioni edilizie e dei terreni, nessuna integrazione economica nord-sud, mancata industrializzazione dell' agricoltura, pochi crediti per l'industria media di cui molto s'era occupato Einaudi pur concerti suoi limiti liberali, e una burocratizzazione sempre più corrotta e pesantissima". Tutto ciò svelava nel 1968, come si può leggere nella nota di copertina di Occhio folle occhio lucido redatta sicuramente da Soldini, e conferma ora, "una personalità modernissima" e "un uomo in lotta"; e appariva "singolare" che "questo scrittore nato nel 1909 abbia in sé molte ansie dei giovanissimi ribelli d'oggi".
Proprio oggi, nel cosiddetto terzo millennio, l'estrema opera letteraria di Guido Seborga, accompagnata dai dipinti e dai disegni, le parole-segno o ideografie mediterranee che andava realizzando rifacendosi ai graffiti rupestri della Valle delle Meraviglie, mostra con maggiore incisività ancora, rispetto a ieri, la sua contemporaneità. In quanto è adesso, più di ieri, che occorre essere non sottomessi ma liberi, e che è indispensabile indignarsi. Occhio folle occhio lucido, anche per le anticipazioni e le premonizioni che contiene, per la solarità italiana (e ligure) e per l’afflato intemazionalista, è uno dei quei libri che non tramontano mai. Non va in soffitta perché è stato scritto nella certezza che la liberazione umana (dalla violenza, dall'odio, dallo sfruttamento, dalla menzogna, dall'indifferenza, dal potere, dall'alienazione, dalla miseria) sia non soltanto possibile, bensì necessaria:"La rivolta umana può distruggere la bestia che ci affligge e ci vuole uccidere".