CLAUDIA FUSANI
MILLE MARIÙ
Vita di Irene Brin
Castelvecchi, 11/04/2012
Irene Brin ha scoperto, inventato, rotto gli schemi (anche linguistici e narrativi) di una società, quella italiana del Ventennio fascista, in cui la donna doveva restare nel trittico predefinito di moglie-madre e regina. Snob forse. Coraggiosa senz’altro. Affascinante con le sue inquietudini. Commerciante, sognatrice, ogni parola scritta una fotografia. La maestra del giornalismo, non solo di costume. Centinaia di articoli mai veramente catalogati e sparsi in decine di riviste che sono il diario minimo e sconosciuto del Novecento italiano. La biografia di Irene Brin, nom de plume di Maria Vittoria Rossi che è stata anche Marlene, Mariú, Contessa Clara e decine di altri nomi e altrettanti personaggi, è un viaggio inedito e pieno di sorprese nel secolo scorso. La vediamo in Liguria ragazzina, figlia di un generale e di una viennese ebrea che le insegna cinque lingue, la sottrae dalla scuola fascista e non la ferma quando mette piede nella redazione tutta piombo e uomini de «Il Lavoro». Poi Roma, il matrimonio con Gaspero, la vita quotidiana con Leo Longanesi e il dietro le quinte della redazione di «Omnibus». Irene inviata di guerra al seguito del marito. Una vita, mille vite: il dopoguerra, la povertà, la scoperta della moda e del made in Italy. Le avanguardie artistiche che giungono da tutta Europa e dal nuovo mondo alla galleria L’Obelisco di via Sistina. Il cinema e il rapporto con Audrey Hepburn e Gregory Peck nelle pause di Vacanze romane.
Irene Brin, all'anagrafe Maria Vittoria Rossi (Roma, 1912 – Bordighera, 31 maggio 1969), è stata una giornalista e scrittrice italiana.
Fu giornalista di costume e scrittrice, viaggiatrice, mercante d'arte e donna di grandissima cultura e stile.
Nel 1934, a ventitré anni non ancora compiuti, Maria Rossi esordì sulle colonne del quotidiano Il Lavoro di Genova, chiamatavi per iniziativa di Giovanni Ansaldo (che nel 1937 la segnalò a Leo Longanesi quale notista di costume per il nuovo settimanale Omnibus), con lo pseudonimo Mariù, successivamente mutato in Oriane in omaggio al personaggio creato da Marcel Proust
Già fidanzata con un caro amico di Montanelli, il genovese Carlo Roddolo, fu in questo periodo che, in occasione di un ballo all'hotel Excelsior di Roma, conobbe Gaspero del Corso, un giovane ufficiale con il quale scoprì di condividere l'intensa passione per la Recherche, per l'arte in genere e i viaggi. Fu un amore improvviso tanto che i due si sposarono dopo pochissimi incontri.
Fu nel 1937 che Maria Vittoria Rossi divenne Irene Brin: lo pseudonimo le fu attribuito da Leo Longanesi, che invitò la giornalista a collaborare al rotocalco settimanale Omnibus, sul quale compariva -novità per l'epoca- una rubrica di cronache mondane scritte con malizia e raffinatezza, lontane dallo stile agiografico dell'epoca (sui rapporti con Longanesi, Irene scriverà, in morte dell'amico, un eccellente articolo, sul "Borghese" del 27 settembre 1957: "Un nome inventato"). Fu un'attività che Irene Brin svolse contemporaneamente ai suoi frequenti viaggi con il marito: viaggi che portarono la coppia a intrecciare rapporti con la migliore società cosmopolita.
Nel 1943 i due coniugi tornarono a Roma. Formalmente dopo l'armistizio Gaspero del Corso era un disertore e quindi si nascose in casa, insieme a una quarantina di altri ufficiali e soldati sbandati per evitare i rastrellamenti tedeschi. In tale periodo le uniche entrate erano costituite dai compensi per le traduzioni di Irene, peraltro sempre più scarse via via che Irene smetteva di lavorare per gli editori che collaboravano con gli occupanti. Fu così che Brin iniziò a vendere i propri regali di nozze: a partire da una borsa di coccodrillo, per poi proseguire con stampe e disegni, e non da poco, dato che parliamo di artisti quali Picasso, Matisse, Morandi...
Poco dopo Irene Brin trovò una sistemazione come commessa nella libreria d'arte La Margherita, coadiuvata dal marito che sotto la falsa identità di Ottorino Maggiore le procacciava libri, disegni e clienti.
Durante l'attività presso La Margherita si presentò a Irene un allora sconosciuto artista, Renzo Vespignani, con un nutrito portafoglio di disegni. Irene e Gaspero comprarono in proprio i lavori e li rivendettero in brevissimo tempo, confermando così la propria vocazione di mercanti; fu questo il loro primo acquisto e anche la prima vendita per Vespignani.
Nel 1946 la coppia affittò un locale in Via Sistina, nel quale nacque la "Galleria l'Obelisco di Gaspero e Maria del Corso", che in breve tempo assunse un'importanza primaria nel panorama culturale della capitale.
L'attività di gallerista non impedì a Irene di continuare a coltivare con passione l'arte di una scrittura colta e raffinata.
Nell'immediato dopoguerra infatti Irene Brin iniziò una lunga collaborazione con La Settimana Incom illustrata di Luigi Barzini Junior, la versione a rotocalco del più famoso cinegiornale del dopoguerra. Su quelle pagine Irene, con la scusa di dispensare alle lettrici consigli di stile, portamento, vita sociale, moda e così via, produceva dei minuscoli pezzi letterari ricchi di ironia e citazioni sotterranee per un pubblico colto e raffinato[non chiaro]. I suoi articoli erano firmati con lo pseudonimo di Contessa Clara Ràdjanny von Skèwitch, personaggio che Irene impersonava fingendo d'essere un'anziana, aristocratica esule da un non meglio precisato paese d'oltrecortina, citando qua e là episodi riguardanti propri incontri con altezze reali, scrittori celeberrimi. così, alla voce sonno raccontava di una conversazione sull'insonnia tra Bergson e Proust; mentre alla voce taxi richiamava un incontro con un amico d'infanzia, esule a Parigi, che sbarcava il lunario con tale mestiere. Il personaggio della Contessa Clara ispirò ad Alberto Sordi la parodia radiofonica del Conte Claro.
Irene peraltro personificava alla perfezione quell'ideale di stile di cui scriveva: basti pensare che nel 1950, passeggiando per Park Avenue con il marito, fu fermata da una signora che le chiese dove mai avesse potuto comprare un vestito così di classe (si trattava di una creazione di Fabiani). Fu così che Irene fece la conoscenza con Diana Vreeland, la miticacaporedattrice di Harper’s Bazaar’s, della quale Irene fu la prima italiana a collaborare, portando sulle pagine newyorchesi le prime avvisaglie del made in Italy, in un'epoca in cui il mondo della moda parlava soltanto francese.
Nella loro frenetica attività a Roma ed in giro per il mondo, Irene e Gaspero ospitarono all'Obelisco dozzine di artisti famosissimi o emergenti (fra cui De Chirico, Balla, Afro, Capogrossi, Fontana, Burri e fra gli stranieri Matta, Magritte, Gorkij, Chagall, Kandinskij, Moore, Calder, Dalì, Bacon, Rauschenberg, Picasso, Lam, Steinberg e Dubuffet) e allo stesso modo portarono l'arte italiana nelle principali piazze nord- e sud-americane ed europee.
Quando seppe di essere stata colpita da una malattia inguaribile, Irene reagì continuando la propria attività di lavoro e di viaggio esattamente come prima; nella primavera del 1969 infatti i due coniugi si recarono come di consueto a Strasburgo per visitare le esposizioni d'arte locali. Sulla strada del ritorno, non essendo in grado di proseguire il viaggio fino a Roma, Irene decise di fermarsi nella casa d'origine dove mori' il 31 maggio.
(fonte: WIKIPEDIA)