CLAUDIO CARRIERI
ABISSI DI SPERANZA
Fortezza del Priamàr
Corso Mazzini - Savona
dal 23 febbraio al 24 marzo 2012
Le società sono in rapido mutamento, spinte, nello svolgimento inarrestabile della rete globale, a nuovi processi di relazione, a nuove connessioni. Adeguarsi a questi cambiamenti, con il compito di comporre i canoni del bello, è continuo esercizio dell’arte.
Laddove, sicuramente le scienze economiche, ma anche quelle tecnologiche e perfino la fisica fondamentale interagiscono con le dinamiche collettive, certamente la conformazione delle regole non può prescindere da scelte legate all’etica; questo, tanto più, vale per l’arte. Qui occorre che la ricerca artistica non si restringa al campo della pura estetica, ma acquisisca la coscienza, oserei dire scientifica, di un intervento concreto nella dialettica sociale.
In questo senso, su un altro versante, si ascriverà il punto di vista dell’arte alla discussione sulla qualità, la direzione, il significato delle conoscenze, ciò che per Edgar Morin è: “Il Metodo”. Ecco perché il fare artistico è destinato a diventare una delle più ardue attività umane e perché è necessario, oggi più che mai, che si rivolga verso nobili scopi come quello di porsi a trait d’union fra le persone e le loro comunità.
Il “manufatto” artistico a questo punto si ridefinisce ancora attraverso le qualità che derivano dalla sua funzione, funzione che si può individuare soltanto partecipando al dibattito civile, non per rappresentare fazioni o ideologie, ma intervenendo direttamente nella definizione dei valori.
La leva emotiva, centrale nella tessitura di un migliore equilibrio sociale, appartiene, nella sua accezione più alta, all’arte.
Pensieri e culture distanti, se non addirittura inconciliabili, attraverso l’arte possono trovare affinità, possibilità per un completamento che non resti confinato nel cielo mentale delle pure ricerche linguistiche e formali, ma venga assimilato nelle coscienze e diffuso attraverso una luce perfino spirituale.
Questo tentativo è il valore aggiunto che scamperà l’arte dal rischio di arroccarsi sulle torri del concettuale o, ammantata di nero nichilismo, tornare a visitare il già visto, tradendo il limite del modello estetico borghese che, non riuscendo a superarsi, diventa autoreferenziale, declina e, tramontando, dell’arte annuncia la morte.
L’intento è quindi rivoluzionario: innovare, cambiare i parametri, assumere nuovi canoni di riferimento, fare piazza pulita del vecchio.
Ma Rivoluzione qui non significa sovversione dell’ordine sociale, al contrario, significa integrazione, reciproca acquisizione, sinergia valoriale: un processo di sviluppo culturale, dove l’arte diviene elemento catalizzatore, capace di stimolare la curiosità per l’altro, favorire l’incontro, l’armonia fra le diversità, con lo scopo di una crescita civile comune.
Da qui nasce: “Abissi di Speranza”
Questa mostra dichiara il valore politico del punto di vista dell’arte, che si può rinnovare solo se prende parte attivamente alla costruzione sociale. Solo così il suo linguaggio, depurato dagli orpelli concettuali, dal decadentismo estetico, può diventare autenticamente popolare, tornare ad essere accessibile ai più.
Bello è ciò che si rappresenta attraverso il buon gesto, buono è qualità concordata nel dibattito civile al quale l’arte deve partecipare schierandosi. Questa oggi è la genesi formale del bello.
ABISSI DI SPERANZA
Fortezza del Priamàr
Corso Mazzini - Savona
dal 23 febbraio al 24 marzo 2012
Le società sono in rapido mutamento, spinte, nello svolgimento inarrestabile della rete globale, a nuovi processi di relazione, a nuove connessioni. Adeguarsi a questi cambiamenti, con il compito di comporre i canoni del bello, è continuo esercizio dell’arte.
Laddove, sicuramente le scienze economiche, ma anche quelle tecnologiche e perfino la fisica fondamentale interagiscono con le dinamiche collettive, certamente la conformazione delle regole non può prescindere da scelte legate all’etica; questo, tanto più, vale per l’arte. Qui occorre che la ricerca artistica non si restringa al campo della pura estetica, ma acquisisca la coscienza, oserei dire scientifica, di un intervento concreto nella dialettica sociale.
In questo senso, su un altro versante, si ascriverà il punto di vista dell’arte alla discussione sulla qualità, la direzione, il significato delle conoscenze, ciò che per Edgar Morin è: “Il Metodo”. Ecco perché il fare artistico è destinato a diventare una delle più ardue attività umane e perché è necessario, oggi più che mai, che si rivolga verso nobili scopi come quello di porsi a trait d’union fra le persone e le loro comunità.
Il “manufatto” artistico a questo punto si ridefinisce ancora attraverso le qualità che derivano dalla sua funzione, funzione che si può individuare soltanto partecipando al dibattito civile, non per rappresentare fazioni o ideologie, ma intervenendo direttamente nella definizione dei valori.
La leva emotiva, centrale nella tessitura di un migliore equilibrio sociale, appartiene, nella sua accezione più alta, all’arte.
Pensieri e culture distanti, se non addirittura inconciliabili, attraverso l’arte possono trovare affinità, possibilità per un completamento che non resti confinato nel cielo mentale delle pure ricerche linguistiche e formali, ma venga assimilato nelle coscienze e diffuso attraverso una luce perfino spirituale.
Questo tentativo è il valore aggiunto che scamperà l’arte dal rischio di arroccarsi sulle torri del concettuale o, ammantata di nero nichilismo, tornare a visitare il già visto, tradendo il limite del modello estetico borghese che, non riuscendo a superarsi, diventa autoreferenziale, declina e, tramontando, dell’arte annuncia la morte.
L’intento è quindi rivoluzionario: innovare, cambiare i parametri, assumere nuovi canoni di riferimento, fare piazza pulita del vecchio.
Ma Rivoluzione qui non significa sovversione dell’ordine sociale, al contrario, significa integrazione, reciproca acquisizione, sinergia valoriale: un processo di sviluppo culturale, dove l’arte diviene elemento catalizzatore, capace di stimolare la curiosità per l’altro, favorire l’incontro, l’armonia fra le diversità, con lo scopo di una crescita civile comune.
Da qui nasce: “Abissi di Speranza”
Questa mostra dichiara il valore politico del punto di vista dell’arte, che si può rinnovare solo se prende parte attivamente alla costruzione sociale. Solo così il suo linguaggio, depurato dagli orpelli concettuali, dal decadentismo estetico, può diventare autenticamente popolare, tornare ad essere accessibile ai più.
Bello è ciò che si rappresenta attraverso il buon gesto, buono è qualità concordata nel dibattito civile al quale l’arte deve partecipare schierandosi. Questa oggi è la genesi formale del bello.